La via dell'Arco
Il “Kyudo” – o “Via dell’Arco” (弓Kyū, “arco”; 道 Dō, “via”) - è tra le più antiche e nobili discipline tradizionali giapponesi. Molti lo considerano la più pura di tutte le arti marziali vicine alla “Via del guerriero” (Bushido, 武士道), specchio della mente e del cuore. Infatti, sebbene tragga le sue origini dal Bushido, che esalta il combattimento, tuttavia esso presenta un suo particolare aspetto profondo e spirituale, ed essendo tradizionalmente un Budo, il Kyudo ha una natura puramente operativa che non concede spazio alla speculazione fine a sé stessa. I suoi principi, pertanto, sono intimamente connessi alla pratica e valgono solo in quanto applicabili nell'arte e nella vita.
Il Kyudo ha molto in comune con la cerimonia giapponese del tè (茶道, Chado), con la calligrafia (書道, Shodo), l’arte della spada (居合道, Iaido) e le varie altre vie che così efficacemente rispecchiano la tradizione millenaria giapponese. Il Kyudo è ricco di storia e tradizione, ed è tenuto in alta considerazione in tutto il Giappone. L’arco ha giocato un ruolo di primo piano nei più antichi miti del Giappone, dove ricopre da sempre una funzione simbolica importante. Il fine del Kyudo non è gareggiare, bensì armonizzare l’essere umano nel suo pensare, sentire e volere, ossia un metodo di perfezionamento dell’individuo, uno strumento per conoscere sé stessi.
Il praticante di Kyudo si inserisce in una vera e propria azione rituale scandita dalla respirazione, in cui arco, tiratore e bersaglio sono una cosa sola. Per raggiungere questo risultato occorre realizzare la perfezione nella forma del tiro e, al tempo stesso, coltivare la purezza della mente, dal momento che l’arco, come un sismografo, rivela anche le più piccole emozioni e turbamenti.
Il praticante di Kyudo deve sforzarsi di ricorrere ad una energia diversa da quella muscolare per tendere l’arco, e farà ciò con l’ausilio della respirazione profonda. Nella sua essenza il Kyudo fornisce i mezzi per acquisire un grado di concentrazione necessario a creare uno stile di vita che esprima una perfetta serenità mentale. Molta importanza viene data ai gesti e alle posture. Un bel tiro sarà non solo preciso, ma anche impregnato di dignità e di estetica, dimensioni queste fondamentali nella pratica del Kyudo.
Un tiro corretto è dato da una “corretta attitudine”, la quale è sempre interiore. L’essenza della mente è dunque diventare consapevoli, prestando attenzione ad ogni gesto che viene compiuto attraverso un rituale ben preciso, scorporando il gesto dalla sua istintività, nobilitandolo e rendendolo vero.

Anche se ad uno spettatore estraneo a questa attività il tiro con l’arco giapponese può sembrare una sequenza di movimenti piuttosto semplice, in realtà il kyudo è una via ardua, di un’intensità e profondità percepibile solo da chi la pratica: per questo il tiro viene vissuto dall’arciere come esperienza totale. L’efficacia della freccia che colpisce il bersaglio sarà la sintesi di un movimento costruito attraverso una forma corretta. Essa dipende in misura decisiva non solo dalla tecnica, ma anche dall’attitudine e dalla condizione della mente del tiratore. La freccia che penetra all’interno di una simile condizione non è la freccia stessa, ma una “freccia vivente”.
Ogni qualvolta si tenta di offrire la nostra mente, il nostro cuore e la nostra volontà al mondo invisibile, ossia quando eleviamo una preghiera o facciamo una lettura meditativa, oppure pratichiamo una concentrazione profonda o tiriamo una freccia, noi possiamo volgere il nostro mentale in alto, trasmutando il sensibile nell’invisibile.
Da questo punto di vista il tiro con l’arco può essere considerato una vera e propria meditazione in movimento; una vera azione per l’anima che, immersa nel caos e nella frenesia della vita moderna, può riacquistare la sua vera essenza attraverso un costante lavoro di disciplina basato sui suoi tre arti: pensare, sentire e volere.
Per intraprendere la via dell’Arco ci vuole perseveranza e una profonda sincerità nel ricercare la sua verità interiore. L’arciere fa esperienza della cosiddetta tecnica del “lasciare la presa”: tutta la nostra vita è dominata dal nostro ego; abbandonarlo ci permette di ritrovare le nostre forze vive, il nostro Sé spirituale, che solo può compiere il giusto gesto. A differenza delle altre arti marziali, non si combatte nessun avversario esteriore: l’obiettivo nel kyudo è la vittoria permanente su sé stessi, questo è il vero bersaglio da colpire.
Questo pensiero può essere riassunto negli insegnamenti del Maestro Kenzo Awa Sensei, vissuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e dal quale ogni praticante può trarre gli insegnamenti più profondi:
“Issha Zetsumei” : un tiro una vita. Bisogna trascendere l’ego e ogni artificio, si deve unire il tiro con lo Spirito/Kokoro 心 e con il corpo. Non si tira con l’ego, ma è il Sé che tira, ossia l’anima purificata e tersa come uno specchio. Si deve gettare via l’egoismo, e questo è migliorare. “Un tiro una vita” significa ogni volta rinascere in questo sforzo senza fine.
“Shari Kensho”: quando si guardano oggettivamente spirito e corpo uniti, ecco che si rivela la vera natura dell’uomo, e quando ciò accade, ecco che si rivela la vera natura dell’universo.

弓道 Kyudo | Suzuki sensei 10 dan
Nato nel 1901, deceduto nel 1984, all'età di 83 anni. Ha studiato kyudo con Awa Kenzo Hanshi e Chiba Tanetsugu Hanshi.
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